Il rinnovo dei vertici dell’ATO «non è stato un semplice passaggio amministrativo, ma anche politico» tuonava l’altro ieri dalle colonne della stampa locale il sindaco di Macerata Romano Carancini. Ed ha ragione, visto che in assemblea si sono confrontate due proposte – entrambe testimoniate da sindaci di casa PD – che non vanno lette solo in termini nominativi, ma sono espressione di linee politiche differenti. Da una parte quella che vuole accelerare sulla costituzione di un’ATO unico regionale; dall’altra quella che tenta di difendere l’autonomia e la specificità degli ambiti individuati dalla legge regionale. So bene che in tempi di semplificazione e spending revue occorre sottoporre a cure dimagranti le istituzioni intermedie, ma questo obiettivo è stato già perseguito dalla legge di riforma che ha escluso indennità e compensi per gli amministratori degli ATO e previsto che la presidenza spetti ad un sindaco, senza indennità aggiuntive. Tuttavia l’ATO non è società di gestione come l’Asur che eroga direttamente i servizi ospedalieri e sanitari ma un “territorio” come lo definisce il d. lgs. 152/2006 e l’Autorità d’Ambito è uno strumento attraverso il quale gli enti locali organizzano, affidano e controllano il servizio integrato. Queste scelte non possono non prendere in considerazione le specificità dei territori, lo stato di manutenzione delle reti, le caratteristiche geomorfologiche. E’ compito della Regione procedere, qualora necessario, alla revisione degli ambiti, e per farlo si auspica che si proceda di concerto con i sindaci del territorio. I partiti di governo, che vogliono accompagnare l’azione regionale dovrebbero preparare il campo ascoltando i propri amministratori e tenendo conto delle peculiarità dei territori. Stupisce pertanto come il PD provinciale e regionale abbia acriticamente aderito alla scelta “in incubatrice” dell’unificazione degli ATO regionali senza un preventivo confronto con i sindaci su questo tema e ciò balza ancor più in evidenza dai risultati della votazione, visto che il PD ha perso quella che giornalisticamente è stata definita “guerra dell’acqua”. I segnali di malessere c’erano da giorni ed erano di evidenza pubblica, visti gli interventi sulla stampa di diversi sindaci, di centrodestra e di centrosinistra; non è comprensibile come mai la segreteria provinciale, che ha dato indicazioni di voto ben precise, non abbia voluto promuovere incontri per fare la sintesi tra le due proposte, che peraltro vedevano come protagonisti principali due sindaci del Partito Democratico, costretti a confrontarsi, nell’imbarazzo anche degli altri sindaci PD che aderivano all’una o all’altra proposta. La fretta, come si sa, è cattiva consigliera e in questo caso probabilmente anche cattiva calcolatrice; visti gli schieramenti e le quote la prudenza avrebbe forse consigliato di non mandare “al massacro” Cesare Martini (peraltro autorevole componente della segreteria provinciale PD) e di non consegnare l’elezione di Francesco Fiordomo ai voti dei comuni dell’anconetano o dei comuni di centrodestra. Adesso che le cose sono andate in questo modo spero ci sia tempo e modo per recuperare quel necessario confronto tra il PD e i suoi amministratori e per assegnare, nello specifico, al presidente Fiordomo – cui vanno gli auguri di un buono e proficuo lavoro – il compito di ricucire con i sindaci che hanno acriticamente aderito ai diktat del partito per porre al centro della sua azione le vere priorità della conduzione dell’ATO3, ossia l’accelerazione dell’unificazione delle società di gestione, l’efficientamento delle reti e dei servizi di distribuzione e depurazione, oltrechè la modulazione delle tariffe sulla base dei costi.
Teresa Lambertucci (già segretaria provinciale PD)
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