In occasione della FESTA DELLA DONNA, riportiamo integralmente una testimonianza del Maestro Luigi Bravi su una donna recanatese: ELVIRA TACCONI MALIZIA. Una storia bella, Una storia dolorosa, Una storia forte.
Elvira. Dicendo così il nome nudo e crudo, non tutti riescono a collegarlo con la persona.
Ma io affermo con sicurezza che tutti la conoscono e che non solo tutti i Recanatesi, ma anche molti altri delle contrade e dei paesi vicini.
Penso che dicendo così ho già svelato il segreto per metà. Per i pochi rimasti dico ancora che parlo di “Elvira”: quella signora anziana anziana, di OTTANTOTTO an¬ni, finiti il 16 luglio 1989, ma giovanile giovanile, poiché anche io non le davo più di sessantacinque anni; che nelle domeniche, in ogni festa e festicciola la vedete gentile dietro una bancherella a vendere, secondo la stagione, castagne, lu¬pini, semi di zucca, caramelle, acarrube e tanta di quella roba e tutta quella ro¬ba, perché niente le manca, che, andando a spasso, serve per disimpegno, per passare il tempo e per sembrare signori, offrendola galantemente i genitori ai bambini, agli amici e soprattutto i ragazzi alle ragazze, molte volte come primo approccio d'amore.
Nelle feste e festicciuole ecclesiastishe si pone presso il portale della chiesa, di ogni chiesa, come ho detto, poiché è sempre presente. Nelle solennità civi¬li si stanzia in quel punto della piazza o della via, dove passa più gente, ma in quel posto che stima di minore disturbo.
Ha qua e là qualche concorrente, ma lei non l’invidia e non lo teme.
Da quanto tempo fa questo mestiere?
“Da prima di nascere poiché anche con lei in grembo, la mamma già andava pure lei sollecita a comperare le noci a Castelfidardo per rivenderle anch'essa ai suoi clienti con tutte le altre ghiottonerie del tempo tra cui dadi di zucchero d'orzo che acquistava a chili”.
Quello di Elvira è dunque un mestiere ereditato.
Da quando ha potuto, si è messa in testa una canestra sempre più grossa, sempre più pesante fino a cinquanta chili ed oltre, e via, a piedi, alla Madonna del Monte, a Loreto, a Portorecanati, a Castelfidardo, a Montefano, a Montecassiano, a Monte¬lupone; città e campagne perché il bisogno spingeva.
Quando prese come marito un muratore, il simpatico Alfonso che forse io conoscevo di più perché venne più volte a lavorare nella mia scuola rurale dell'Addolorata, questi, quando nell'invernata o nei giorni festivi non lavorava, la aiutava a raggiungere la meta sospingendo il carrettino. Ma poi lei restava sola. Alfonso doveva tornare a casa per accudire alla famiglia.
Per lei non c'era sosta. O pioggia, o neve, o gelo, o sole cocente, lei via! Nul¬la la fermava ed ancora nulla la ferma, benché non vada più troppo lontano.
Mi dice che una volta, proprio facendo la ripida salita della Madonna del Monte, dopo Sambucheto, cadde scivolando su di una grossa lastra di ghiaccio nascosta da un lieve strato di neve.
“Mi sono rialzata, ho ringraziato la Madonna per non es¬sermi fatta male, ma dovetti aspettare un uomo di passaggio per poter riprendere la cesta andata a finire in una siepe di rovi, rimettermela in testa e proseguire. Io ci avevo provato a fare tutto da me, ma non ci ero riuscita”.
Quegli, meravigliato per il peso che portava e complimentandola per il coraggio di girare in quell’invernata cruda e crudele (1929) le fece un poco compagnia fino alla cima.
“Io ho seguitato a camminare adagio adagio pregando il Signore che non mi facesse più cadere e mi facesse vendere tutto per portare a casa qualche soldo per i figlioli. Fortuna volle che quella volta avevo messa sopra alla cesta una tovaglia e la avevo legata intorno con una cordicella. Se nella caduta la roba fosse andata sparsa o giù per la scarpata, per me sarebbe stata una rovina”.¬
“Io non ho bevuto mai ne vino né caffè? Per colazione mi è sufficiente un po' di latte mescolato con caffè d'orzo. A pranzo ed a cena mangio pochissimo, eppure sono stata e sto sempre bene in salute. Ricordo solo quel terribile mal di denti di una volta”.¬
Dei sei figliuoli dice che erano e che sono tutti bravi buoni ed amorosi.
Ricorda di più Marzio che a trentaquattro anni ha lasciato due bambini ancora in tenera età uno di tredici ed uno di otto anni..
Ma rimpiange soprattutto la figliuola di quattro anni deceduta tragicamente sotto un carro quando la ditta Lanari di Osimo stava costruendo la nuova strada di circovallazione: Monte Conero. Un dolore questo indelebile.
Mi mostra l'altarino coi suoi cari estinti: i genitori, il marito, i figli: fotografie in semplici quadretti, una tazzetta con dei fiori freschi, un cerone che vi arde sempre. Sta dietro la porta di entrata.
“Tanti mi hanno detto e mi dicono che è una cosa inutile; ma io non posso farne a meno”.¬
Per Elvira, particolarmente quella fiammalla è segno di vita, oltre che l’eccitazione di un caro ricordo. E' una preghiera vivida e per lei e per gli altri familiari rimasti.
Io le dico: No, non è una cosa inutile, ma bella e confortevole. E’ che il materialismo, la frenesia di oggi non danno più spazio ai sentimenti dell'animo. La nuova generazione vive frenetica. Ha troppe cose a cui pensare, a cui credere di dover provvedere, falsamente poiché le cose andranno avanti lo stesso. Non c’è più spazio per i sentimenti dell'animo.¬
E’ voluta salire in camera per prendere la fotografia che tiene sul suo comò. Foto dove la figlioletta dorme angelica sul letto, contorniata da tanti fiori portati dagli amichetti coetanei.
Nel parlarmi di lei le sono scese tante lacrime come se le avessi aperto una lacerante ferita.
Mi scuso del disturbo, e cerco di cambiare discorso. Ma è lei a dirmi che ogni volta che la pensa, ne piange.
Anche quella mattina la bambina le aveva detto:
“Mamma me la dai una caramella prima di andare via?¬
Lei come al solito gliela aveva data, purtroppo sarebbe stata l’ultima. Quando lei, avvertita dell’avvenuta tragedia arriva correndo, la bambina si erà gia spenta.
Le chiedo: ha fatto mai incontri sgradevoli?
“Mai. Io sono stata sempre gentile con tutti e tutti sono stati sempre gentili con me. Non è che non ricordo, ma mai mi è successo qualche cosa di spiacevole. Ecco, mi è accaduto che una volta, ancora giovane, e certo non ero male, venendo su per Porta San Filippo un anziano signore, forestiero, mi fece una proposta piuttosto oscena. Fortunatemente c'era non lontano “Cantarì”, il padre di Er¬nesto. Lo chiamai ed al solo sguardo del Frapiccini quello credette bene allontanarsi. Non altro. Ma non ero al lavoro e tornavo sù dalla campagna dovo ero stata a prendere dei frutti”.
“Una volta,avevo bisogno di oliva e di olio. Mi avevano suggerito di andare a Pescara. Ma quel signore indicatoni mi disse che lui non trattava più questa merce, però mi fece subito un biglietto per presentarmi ad un suo amico di Chieti. Questi mi accolse con la massima cortesia e mi soddisfece pienamente. Altre volte poi potei tornare da lui con sicurezza”.
Ormai questa vita da ambulante è per Elvira un modo di essere e mi dice che non può farne a meno. La prende come divago, lei dice, dei tanti dispiaceri che le af¬fiorano nell'animo.
“La vita mia è stata un romanzo, giorno per giorno. La fatica per me non e mai stata una cosa pesante, l’ho sempre accettata volentieri ed ancora la faccio. Non mi arrendo, sarebbe la fine”.
Elvira è fiera di sè e del proprio lavoro. Quanto insegnamento a quei giovani di oggi che vogliono tutto pronto, tutto a portata di mano, tutto bene retribuito anche con poco o addirittura senza merito.
E guai se i genitori non corrispondono. Lei dice che i suoi genitori li adorava, li ubbidiva, li preveniva. Ma dopo queste osservazioni conveniamo insieme che anche oggi fortunatamente ci sono dei giovani all'antica.
Le domando: Ma chi e che compra? Di più i giovani? i bambini? gli anziani?
“Tutti” mi risponde. “Non posso assolutamente dire di più questi o di più quelli. Guardano, e c’e sempre qualche cosa che gradiscono e comprano. Mai mi hanno fatto sgarberie. Io, ripeto, sono stata sempre gentile coi clienti e loro sono stati sempre di buone creanze con me. Non ho mai avuto uno sgarbo. Mai”.¬
Alla domanda: ma al banco, sono migliori i giovani di oggi o quelli di ieri? Mi risponde:
“I giovani erano certo più posati, più calmi di quelli di oggi. ma insisto nel dire che mai nessuno, neppure da ragazzetti ho subito una villania e neppure un atto maleducato. Mi creda”.
Mi dice che una sola volta è andata in Municipio per chiedere. Era in tempo di guerra ed era afflitta da quel terribile mal di denti di cui abbiamo accennato sopra. Il podestà (e me ne fa il nome) mi disse che non poteva rilasciarmi la tessera di povertà, ma che mi dava lui stesso diecimila lire di tasca sua per potermi curare.
Io gli risposi: “Grazie, ma io chiedevo solo la tessera di povertà perché sono proprio povera ed ho la famiglia numerosa. Se non posso averla non mi importa. Si tenga pure le diecimila lire lei ed io mi tengo il mal di denti. Mi passerà. ¬Me ne andai e non salii più quelle scale. Quella è l'unica, ma proprio l'unica volta che ho steso la mano. Io ho fatto sempre tutto da me, senza disturbare mai nessuno. Il Signore però, devo dirlo, mi ha sempre aiutata”.¬
Vivente il marito, hanno comperato qui una vecchia stalla per cavalli. Il marito a poco a poco l’ha restaurata facendola diventare una casetta di quattro stanze, due per piano.
“Ha soffitti bassi, è semplice, linda, dignitosa. A me piace”.
Sono venuto qui all’improvviso eppure nulla è fuori posto.
“Ho sempre penato”, mi dice, “ho sempre lavorato, ma mi trovo contenta e pronta a seguitare finché il Signore me lo permetterà”.¬
Mi complimento con lei perché io più di sessantacinque anni non le avrei dato. E lei:
“E tutti mi dicono così, invece sono oramai tanti di più e si incominciano a sentire”.
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