Stiamo per affrontare la svolta dell’utilizzo delle impronte digitali per l’identificazione che poi, di pari passo, entreranno nel settore della criminalistica, però prima di proseguire, ritengo opportuno dare delle nozioni su cosa sono le impronte.
Le impronte sono lasciate dalle papille della parte interna delle mani e dei piedi. Le papille, chiamate anche creste, sono quelle escrescenze che consentono il senso del tatto e danno la sensibilità. Le impronte si definiscono “digitali”, quando riguardano il polpastrello delle dita, e “palmari” quando riguardano il resto del palmo della mano. Sulle creste ci sono dei “pori” dai quali fuoriesce la sostanza sudorifera ed in connubio con le creste stesse, che hanno una funzione tipo “timbro”, lasciano sulle superfici toccate le nostre impronte papillari. Per l’identificazione preventiva, il fotosegnalamento, si usava passare con un rullo impregnato di inchiostro nero sui polpastrelli e sul palmo della mano, poi a modo ti timbro si traferiva l’impronta su un cartoncino bianco; oggi, con l’evento dell’informatica anche in questo campo, le impronte si rilevano passando polpastrelli e palmo della mano sul piano di uno scanner. In criminalistica, invece, le impronte sono quelle lasciate dal reo sulla scena del crimine, esse possono essere visibili o non visibili “latenti”, possono essere per sovrapposizione di sostanza, per asportazione di sostanza o per affossamento. Questi dettagli saranno approfonditi nell’articolo che dedicherò alle impronte papillari in criminalistica.
Sir Francis Galton, lo abbiamo lasciato nell’ultimo articolo, era un medico londinese, spaziava a 360 gradi dall’antropologia alle ascensioni in mongolfiera. Per soddisfare i suoi interessi scientifici, organizzava nella sua abitazione incontri con illustri biologi, geografi, antropologi e filosofi, forse non a caso, Galton, era il cugino Charles Robert Darwin, autore “dell’origine delle specie”. Fu nel 1884, a Londra, che in occasione dell’Esposizione Universale, aiutato dal suo fedele collaboratore Sergente Randai, allestì un suo padiglione. I visitatori del padiglione, interessati, previo pagamento e rilascio di un diploma di partecipazione, erano sottoposti a rilievi antropometrici, veniva misurata la vista, l’udito, la forza muscolare, nonché assunte le impronte digitali.
Tutta questa operazione serviva a Galton per formare un grosso archivio rappresentativo delle varie fasce sociali, etniche, d’età e sesso, da usare per lo studio delle impronte digitali.
Dallo studio di questo suo archivio, Galton, arrivò alla conclusione che le impronte digitali arano riconducibili a quattro figure fondamentali, adelta, monodelta, bidelta e composta, figure, ad oggi riconosciute valide.
Lo sforzo economico e di energie messo in campo da Galton, per addivenire ad una classificazione dattiloscopica, atta ad ordinare le impronte, rintracciare quelle assunte con conseguente identificazione del soggetto, però non ripagò il medico, non trovando, di fatto, un metodo valido e veloce.
Dove Galton, apparentemente fallì, in pochi mesi J. Wucetich, responsabile del servizio statistica della Polizia Argentina, dove era operativo l’ufficio di identificazione, elaborò la prima classificazione dattiloscopica che nel 1896 veniva definitivamente adottata dallo stato Argentino.
Ma la classificazione delle impronte digitali più “gettonata”, più utilizzata a livello mondiale, compresa l’Italiana, in uso fino all’avvento dell’A.F.I.S. (Automated Fingerprint Identification System) venne ideata nel 1900 da Edward Richard Henry, Funzionario Inglese in servizio nell’India Britannica.
Siamo arrivati al momento della svolta, seppur ancora qualcuno continuava a ritenere valido per l’identificazione il sistema antropometrico, Bertillon uno di questi, sempre più Polizie iniziavano ad usare il sistema dattiloscopico per l’identificazione, sia per la semplicità di assunzione e classificazione delle impronte che per un campo di applicazione più ampio.
Mentre l’antropometria era valida solo a livello di identificazione preventiva, a patto poi che la persona avesse compiuto venti anni di età, il sistema dattiloscopico garantiva l’immutabilità delle impronte nel tempo (esse si formano nel feto al sesto mese di gestazione e si distruggono con la decomposizione del corpo dopo la morte) ed in più poteva essere applicato anche in campo giudiziario.
Entriamo nella storia Italiana, fine del XIX secolo, il nostro paese era sconvolto da un fenomeno criminale molto fastidioso, il “brigantaggio”. Le regioni più colpite dal fenomeno erano quelle meridionali e da Napoli, nel 1982, nasce il primo Gabinetto Antropometrico. Il Medico Legale Abele De Blasio, chiese al Questore di Napoli, Sangiorgi, di allestire a proprie spese un Gabinetto Antropometrico. Con l’autorizzazione del Questore fu realizzato questo ufficio nel cortile della questura, una baracca nella quale si fotosegnalavano pregiudicati, ed il Medico De Blasio eseguì il primo confronto fotografico di un malavitoso.
Nel 1886 fu organizzato a Roma il primo Congresso penitenziario, tra gli ospiti d’onore fu chiamato Bertillon, dove illustrò l’importanza dell’antropometria come metodo di identificazione personale.
Nel 1887, allo scopo di aggiornare e migliorare le tecniche di contrasto dell’emergente criminalità, con Regio Decreto nr. 1201, il Prefetto di Roma, Giovanni Bolis, fu autorizzato ad organizzare un “Corso pratico di perfezionamento per Funzionari di P.S.”, da riscontri storici sembra che furono organizzati solo due corsi ai quali parteciparono 35 Funzionari.
Quasi tutte le Polizie mondiali avevano laboratori di criminalistica, ed anche in Italia si sentì la necessità di rinnovare il sistema investigativo affiancando ad esso l’ausilio della scienza.
Mentre Cesare Lombroso, titolare della cattedra di Medicina Legale all’Università di Torino, elaborava le sue teorie sull’uomo criminale, nel 1901, il Ministro dell’Interno Giovanni Giolitti, su suggerimento del Capo della Polizia Francesco Leonardi, inviò un Vice Prefetto a Parigi per prendere visione delle metodologie attuate da Bertillon, nonostante l’affermazione della dattiloscopia si stava consolidando prendendo sempre più piede, e si stava affermando sempre più come faro primario della criminalistica.
Al ritorno del Vice Prefetto da Parigi, si decise di organizzare a Roma dei corsi di Polizia Scientifica. Il primo corso fu organizzato nel carcere di “Regina Coeli”, parteciparono solo Funzionari di Polizia, e l’incarico di docente fu assegnato al Medico Legale Professor Salvatore Ottolenghi.
Siamo giunti alla nascita, se pur ancora in fase di sviluppo, della Polizia Scientifica Italiana, ho citato due illustri Professori, Cesare Lombroso e Salvatore Ottolenghi, “padri” di questo settore investigativo, che nel prossimo articolo cercherò di presentare.
Accattoli Gabriele
;