E’ morto Mario Clementoni, il re del giocattolo.

RECANATI. E’ morto questa mattina Mario Clementoni, il patron della nota azienda lea der nella produzione dei giocattoli intelligenti.  Domani alle 10,30 i funerali in Cattedrale.

Si sposò con Matilde  nel lontano 1953. Dal matrimonio sono nati quattro figli: Stefano, Patrizia, Pier Paolo e Giovanni, oggi tutti impegnati a portare avanti l’azienda del padre la cui fortuna imprenditoriale in grande stile iniziò dieci anni dopo, quando nel 1963 decisero di trasferirsi a Recanati dove, in località Fontenoce, impiantarono il primo nucleo produttivo di giocattoli inventandosi il puzzle, che lanciò nel mercato definitivamente l’azienda e che decretò la sua fortuna.

Nel 2005 ricevette la laurea honoris causae all’Università di Camerino in architettura.

E’ noto l’impegno della famiglia a favore delle missioni in Etiopia e il legame di solidarietà fra la famiglia Clementoni e i frati cappuccini per l’aiuto portato alle popolazioni povere di quel paese martoriato dalla fame e dalla carestia. Già tempo fa avevano realizzato un gioco, con la collaborazione di Frate Mago, utilizzando parte del ricavato per aprire una scuola intitolata proprio a Mario Clementoni.

Per ricordare meglio la figura di Mario Clementoni riportiamo una sua intervista che compare sul sito internet dell’azienda:

Tutti conoscono i giochi Clementoni. Noi vorremmo provare a conoscere Mario Clementoni, il loro inventore. La sua è una storia affascinante: vuol provare a raccontarcela?

Ho cominciato questa mia attività quando avevo vent’anni. E ora sono per così dire il nonno del giocattolo italiano. Posso anche dirmi soddisfatto di aver creato e sviluppato un’azienda che non ha mai avuto problemi, che è cresciuta passo passo, stimata dal mercato, ma soprattutto dai bambini.

Ai suoi figli non saranno certo mancati i giochi…

Naturalmente, anche perché mi portavo “il lavoro a casa”. A volte sono stati dei formidabili collaudatori. Hanno avuto un’infanzia molto libera, quella che si poteva avere a Recanati, piccola e tranquilla cittadina del centro Italia dove i bambini potevano passare il loro tempo insieme, per i vicoli, in strada. Trascorrevano anche molto tempo qui in azienda. Credo che i loro ricordi siano l’archivio storico più completo dei giochi che abbiamo prodotto.

Tutti i suoi figli lavorano in azienda

Sì, il mio lavoro a poco a poco li ha coinvolti, e uno per volta hanno voluto lavorare insieme a me.

Ci vuole raccontare L’evoluzione DELL’AZIENDA?

Incominciai l’attività con pochissime persone che lavoravano a mano, alla maniera artigianale. I primi prodotti sono stati realizzati pezzo per pezzo, uno alla volta. Non avevo la possibilità di fare grossi investimenti, e incominciai in un garage, qui a Recanati. Tre anni dopo acquistai un fabbricato. Lì incominciai a sviluppare l’attività, passati tre o quattro anni iniziarono i lavori per la costruzione di questa fabbrica, la sede attuale dell’azienda.

Quali erano i suoi giochi di bambino?

Si giocava per strada, e si inventavano i modi di giocare. Non c’erano giocattoli, allora. Giocavamo con un sasso, con le palline di terracotta, oppure si giocava a correre, o a nascondino. Era un modo di vivere naturale, si giocava in questo ambiente libero, e c’era tanta fantasia.

Che cos’è cambiato da allora?

Certo, il gioco di oggi, e soprattutto il gioco educativo, ha molto possibilità in più, perché è più pensato e studiato, e aiuta moltissimo il bambino nel suo sviluppo. In passato poi si imparavano i giochi dai compagni, si improvvisava. Oggi sta piuttosto agli adulti far scoprire ai bambini il piacere del gioco, stimolare i loro interessi, inventare con loro e per loro nuove occasioni per giocare. Il gioco diventa un momento di comunicazione e vicinanza tra grandi e piccoli. Penso non ci sia immagine più bella di quella di una mamma che gioca con il suo bambino.

Come le venne in mente di fabbricare giochi?

Incominciamo da una fotografia. Non avevo ancora tre anni, indossavo una tuta, avevo un martello in mano e un triciclo di ferro. Volevo imitare mio padre che guidava camion e aveva un’officina. Io ero sempre la dentro, con quella tuta addosso e il martello in mano, mi mettevo sotto i camion e battevo con quel martello… Poi c’è un ricordo, molto significativo. Quando ero bambino mio nonno aveva l’abitudine di riunire la sua grande famiglia, si stava insieme, si parlava, si giocava a tombola. Una volta, mentre giocavamo, guardai la tombola in modo diverso e pensai “Ma in fin dei conti, che ci vuole a fare una tombola?”. Ecco forse è stato quello il mio primo pensiero da “produttore”. Quindi da una parte c’è la motivazione imprenditoriale che mi ha trasmesso mio padre, e dall’altra quella che definirei una vocazione.

Qual è stato il suo, primo prodotto di successo?

La Tombola della Canzone. L’idea del gioco educativo era quella che m’interessava di più, ma bisognava lavorarci ancora molto. Nel frattempo cercai di ideare prodotti che potessero essere innovativi nel campo del gioco tradizionale. Era il 1963, il festival di Sanremo costituiva l’evento dell’anno, le canzoni allora restavano in voga per anni. Così mi venne in mente di fare La Tombola della Canzone. Inventai una pianola a manovella in cui scorreva un nastro forato. Si girava la manovella, il nastro passava e suonava il motivo. Chi giocava doveva indovinare il titolo della canzone e coprirlo sulla cartella della tombola. Questo fu il prodotto con cui entrai nel mercato. Fu subito un successo.

Come realizzò l’idea del gioco educativo?

Arrivai a produrli alla fine degli anni sessanta. Avevo cominciato a sviluppare l’azienda puntando su giochi di società che si rifacevano al successo di personaggi o programmi televisivi. Erano nati così la scatola di giochi di prestigio con l’immagine del mago Silvan, Portobello, Io e la Befana. Poi venne finalmente il momento dei giochi educativi, che erano un po’ il mio pallino. In questa mia passione intervenivano diversi elementi. Da una parte la consapevolezza che l’impatto con la scuola può essere un’esperienza difficile, dall’altra l’idea che l’apprendimento non deve essere forzato ma favorito nel modo migliore.

Quello che accadeva all’estero le confermava tali intuizioni?

Negli USA il gioco educativo si era sviluppato in relazione al lavoro di psicologi e pedagogisti. Si era affermata una nuova visione della prima educazione del bambino, si cercava di comprenderne i bisogni intellettivi e affettivi. L’infanzia diventava sempre più un momento decisivo per la formazione della persona.

Quindi il gioco è una cosa seria…

Il gioco è un’attività importante, che ci accompagna per tutta la vita ed è fondamentale per lo sviluppo dell’intelligenza. Questa è la mia convinzione, e mi sono dedicato con entusiasmo a concretizzare quello che essa mi suggeriva, progettando appunto i miei giochi educativi. Nel corso degli anni sono cambiate le dimensioni aziendali, ma l’idea è rimasta immutata.

E così nasce Sapientino…

E’ stato il mio primo prodotto educativo, che esiste ancora oggi. Ovviamente si è arricchito nel tempo, se nella sua prima versione rispondeva con segnali luminosi oggi parla e offre una varietà di argomenti in più. Dalla musica alle scienza, dalla storia allo sport. Comunque fu il gioco base, il primo prodotto educativo che misi sul mercato. Ebbe subito un successo che continuò, anzi aumentò nel tempo.

Quali sono le letture a cui si dedica nel tempo libero, sempre che ne abbia?

Non sento l’esigenza di avere del tempo libero: e da che cosa poi? Quando sono in vacanza in genere mi annoio. E quel che mi piace fare, gira e rigira, è quasi sempre qualcosa che riguarda il mio lavoro. Una volta, durante una settimana di riposo, mi venne in mente di scrivere un insieme di massime che definissero l’immagine dell’azienda. Ci lavorai e mi divertii. E’ un decalogo i cui punti cominciano rispettivamente con le lettere che compongono il nome Clementoni. Per esempio la “e” diventa Entusiasmo Epidemico, e la “n” non a caso diventa “Noia, No!”.

Per concludere, vorrei proporle una frase che mi viene in mente, è la frase di un filosofo che ha detto: l’eternità è un fanciullo che gioca… Cose le suggerisce?

E’ una bella immagine. Sa come lo vedo quel fanciullo? Come un ragazzino che si diverte a tirare sassi nell’acqua, e guarda i cerchi che si formano. Certo, tirare sassi nell’acqua non è che abbia mai cambiato il mondo. Però si fanno proprio dei cerchi bellissimi. E guardandoli può venire qualche idea. E le idee cambiano il mondo.

 

 

 

 

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