Agli inizi degli anni Novanta Raoul Paciaroni, a seguito di una domanda di demolizione e ricostruzione di un edificio in via Ercole Rosa, con grande sensibilità prescrisse all’autorizzazione dei lavori l’apposizione di una lapide nel luogo in cui era il Leon d’Oro, in quanto l’8 settembre 1845 in quella locanda aveva soggiornato lo scrittore e uomo politico Massimo Taparelli D’Azeglio, imparentato coi Ricci e di recente salito agli onori della cronaca per via di alcune acquisizioni antiquarie. Quindi l’osteria di San Severino, grazie anche all’eleganza dei Ricci e a I miei ricordi del marchese D’Azeglio, è stata considerata a tutti gli effetti un luogo di memoria storica. Ciò premesso, si suggerisce agli Amministratori di Caldarola o della Provincia, ai rappresentanti delle accademie e delle fondazioni, agli ambasciatori dei vari ordini equestri, a quelli mendicanti e alle compagnie dio ventura di apporre una modesta lapide anche alla vecchia stazione di posta di Valcimarra, visto che il complesso è arrivato intatto fino ai giorni nostri e che ivi pernottarono, almeno per quanto c’è dato sapere, due importanti viaggiatori. Il filosofo Michel de Montagne infatti ne fa una accurata descrizione nel suo Viaggio in Italia, poichè vi pernottò il 22 aprile 1581 durante il tragitto Foligno-Loreto. Nell’agosto del 1743 fu la volta di Giacomo Casanova che, al contrario di Montagne, andava nel senso incerso: da Loreto a Roma. Il Casanova, all’epoca abate diciottenne, nell’autobiografia Storia della mia vita ci descrive la disavventura avuta in quest’osteria, posta lungo la strada che costeggia il fiume Chienti.
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