Giorgio Terrucidoro, disabile sin dalla nascita e costretto a vivere su una sedia e rotella è partito dalla sua esperienza personale per parlare dell’intento che lo ha spinto a scrivere il suo libro “Non solo disabile” presentato sabato pomeriggio nella sala conferenze dell’Hotel Gallery di fronte ad una sala gremita. Con lui anche l’editore Andrea Giove e la psicologa Adriana Frusto. Un intervento di 45 minuti fatto con passione e soprattutto con la speranza che la disabilità venga sostituita da un vero rapporto relazionale, cioè da una autentica iniezione di normalità. “Sono partito da una storia personale ma per trattare la disabilità in senso generale, ha esordito Terrucidoro, 40 anni, perché i temi che sollevo in questo libro rimarranno tali anche quando io non ci sarò più. In fondo, ha aggiunto Terrucidoro, ho raccontato tre dimensioni fallimentari della mia vita: quella affettiva, quella vocazionale e quella lavorativa. Affettiva perché non ho né moglie né fidanzata, vocazionale perché volevo diventare sacerdote ma mi ritrovo qui, come umile laico, e quella lavorativa perché ho una borsa lavoro da dodici anni che non è tanto gratificante.” Una storia che avrebbe gettato facilmente nella disperazione chiunque ma non Giorgio Terrucidoro che è convinto che vincere la disabilità si può partendo proprio dalla famiglia. “Il disabile in seno alla famiglia ha bisogno di normalità mentre spesso la disabilità la si vive nella sola dimensione dell’handicap. L’educazione alla normalità, per quanto riguarda la famiglia, non è facile attuarla. Quando un genitore accompagna in carrozzella un disabile cosa pensa di avere vicino, un disabile o una persona? Noi siamo sempre abituati a pensare all’assistenza, alla pensione o altro. Su questo devo ringraziare mio padre e mia madre che mi hanno educato alla normalità. Io spero che il libro aiuti la famiglia a fare un passo in avanti perché avere in casa un disabile non è una maledizione divina o una disgrazia ma fa parte della vita.” Poi c’è la scuola che viene vista solo come forma di socializzazione per il portatore di handicap. Così come il lavoro. “Se la borsa lavoro serve solo alla socializzazione, le cose non miglioreranno mai per il disabile. Io sono dodici anni che ho una borsa lavoro che a lungo andare è demotivante. Chiedo un intervento legislativo più forte per l’inserimento lavorativo dei disabili.” Infine tocca anche l’aspetto vocazionale. Terrucidoro voleva diventare sacerdote ma il vescovo glielo ha impedito. “Io, con il mio handicap, non avrei alcun problema ad esser candidato al sacerdozio ma sono stato considerato dal vescovo spiritualmente non idoneo senza darmi una ragione della mia inidoneità e questo non lo accetto. La fede e la ragione sono due ali che devono volare insieme, ecco perché il vescovo non può dirmi che non sono idoneo senza darmene una ragione.”
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