E’ l’incubo da tempo di chi ha problemi di salute: finire nella bolgia del Pronto Soccorso degli ospedali di Macerata o Civitanova. Il problema, noto e annoso, si è aggravato in questi ultimi mesi quando il freddo polare ha causato malori, soprattutto tra le fasce più deboli. Pochi letti, tante ammalati e un personale scarso che cerca di fare del suo meglio. Uomini, donne, anziani, tutti nello stesso luogo, uno stanzone o il corridoio, con bagni condivisi e senza alcuna attenzione alla privacy.
Le barelle spesso sono insufficienti e, in assenza di queste, si ricorre a letti di fortuna come un tavolo in acciaio, senza materasso, senza cuscino e addirittura mancano le coperte. Sono in tanti a raccontare il loro calvario. M.C. ha assistito il marito di 86 anni che “è rimasto in Pronto Soccorso per due giorni, immobile sulla barella in attesa di ricovero, rimasto per tutto il tempo a digiuno e con il divieto di bere per paura di disfagia.” Solo quando ha minacciato di firmare e portarselo a casa è arrivata un’infermiera con una flebo di potassio, una di cortisone e la sacca per alimentarlo e in serata anche un letto in chirurgia in attesa di andare in medicina. Un 90enne malato di Alzheimer e cardiopatico è stato per 48 ore sulla barella in attesa di un posto letto: D.L., la figlia, ha tanta rabbia in corpo quando racconta di questa esperienza. "Due giorni sono un’eternità per chi sta male. E lo sono anche per i familiari.” Anche qui è stata necessaria la voce grossa per rimediare un posto letto a Villa Pini. Ha trascorso ben 6 giorni un 76enne, portato dalla RSA di Recanati al Pronto Soccorso di Civitanova, su una barella nonostante le sue gravi condizioni: l’uomo è grave e secondo il parere dei medici deve stare in isolamento. “Dopo aver insistito a lungo, racconta il figlio, è stato trasferito prima in astanteria e successivamente in medicina dove, purtroppo, è morto.” Al momento del decesso è in camera con altri tre malati. Subito gli infermieri arrivarono con dei divisori per creare una sorta di privacy ma due paraventi non bastano a schermare il dolore della famiglia. Di recente una donna di 78 anni, ci dice il figlio A.P., è rimasta due giorni sulla barella in attesa di un letto, con i dolori alla schiena che la tormentavano. “All’ennesimo rifiuto ho agito di prepotenza arrabbiandomi con il dottore. Dopo soli 5 minuti l’hanno ricoverata in chirurgia, in attesa di passare in medicina. Il mio ultimo pensiero va ad una signora di 98 anni in barella da giorni, di fronte a mia madre, un esempio di come sia scarsa l’attenzione alla sofferenza.”
Ci si deve infuriare dunque per ottenere qualcosa di cui ci spetta di diritto? Che decoro c’è in tutto questo? Quale garanzia alla dignità? E i professionisti che vi lavorano? Molti di loro sono preparati e sono persone con coscienza, ma vederli lavorare in tali ambienti non qualifica la loro professionalità. Se il P.S. non è più un luogo di passaggio e il sovraffollamento è diventato una malattia cronica, da chi dipende l’incapacità di programmare gli interventi sanitari per la popolazione quando, puntualmente, accadono episodi come questi? Perché una situazione del genere diventa “norma”? Perché le politiche di risparmio sono tutte incentrate sulla chiusura degli ospedali minori senza provvedere ad un potenziamento o ad una riorganizzazione del sistema?
Ci vogliono risposte immediate perché se la sanità costa, la salute non ha prezzo.
Nikla Cingolani
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