Non lasciateci soli a combattere l’autismo

E’ difficile per chi non ha la sfortuna di vivere certe esperienze, capire che cosa significa avere un figlio autistico. Eppure Fabrizio Principi, nato e cresciuto a Recanati, 42 anni fa, “sposato con una splendida donna e padre di due anni di 10 e 6 anni” come lui stesso si descrive riesce ad avere il sorriso in bocca e una forza di volontà spaventosa. Al suo bambino più piccolo, Matteo, all’età di 2 anni e mezzo è stato diagnosticato un disturbo dello spettro autistico.

“Sino a 14 mesi era un bambino del tutto normale, vivace e affettuoso ma poi abbiamo iniziato a notare un certo cambiamento in lui: lo chiamavi e non ti rispondeva, aveva lo sguardo assente e perso nel vuoto, non riuscivi ad agganciare il suo sguardo, mostrava atteggiamenti stereotipati come lo sfarfallio delle mani o il girare su se stesso”. E’ da lì che inizia il calvario della famiglia di Matteo: prima tappa Fano dove c’è il centro regionale unico per le Marche per l’autismo. E’ il gennaio del 2015 e “la direttrice del centro, racconta Fabrizio, ha fatto la diagnosi di autismo: anche se ce lo aspettavamo, leggerla nero su bianco fa molto male. Ci ha detto subito di non ascoltare i tanti maghi che ci sono in giro perché l’autismo non è una malattia ma una condizione dalla quale non si guarisce. Però oggi ci sono gli strumenti adatti per migliorare la sua condizione e permettergli un’autonomia importante”.

Matteo e tutta la sua famiglia ma non solo, tutti quelli che a qualsiasi titolo ruotano intorno a lui vanno a scuola per imparare il cosiddetto “Metodo ABA”, un sistema complesso e ormai sperimentato per gestire lo sviluppo di chi ha problemi come quello di Matteo. “A monte c’è un supervisore, spiega Fabrizio,  che coordina il lavoro di tutte le figure presenti intorno a Matteo. Io e tutta la mia famiglia abbiamo imparato a fare gli educatori, è un lavoro grande e  bellissimo anche se faticoso perché fai 1 passo avanti e 3 indietro”.

Tutto perfettamente funzionante? Certamente ma … il neo c’è e si chiama “lista d’attesa”. “Noi siamo entrati in lista d’attesa subito dopo la diagnosi per essere presi in carico dalla sanità pubblica ma già allora si parlava di un anno e mezzo di attesa. Eppure una condizione per vedere qualche risultato è proprio la diagnosi precoce, l’intervento intensivo sin dalla tenera età”. La loro a quel punto è stata una scelta obbligata e si sono rivolti al centro specializzato più vicino casa anche se privato e quindi a pagamento, il centro Orizzonte di Macerata gestito dalla cooperativa sociale “Il Faro”. “Per fortuna sono eccezionali. Tre anni fa eravamo una decina di famiglie e ora siamo più di 40. Matteo dopo 3 anni è un bambino che comunica, fa richieste con gli occhi, con i segni inserendo anche tante parole, ha il contatto oculare, ti cerca, per strada ti da una mano, prima non eravamo in grado di fare nulla, né di andare al ristorante né di andare a fare spesa o una passeggiata”.

L’appello di Fabrizio è tutto qui, quello di non lasciare sole queste famiglie perché c’è anche chi non ha proprio la possibilità economica di provvedere in proprio: “se ne parla troppo poco e invece ci sono tanti bambini che hanno bisogno. Facciamo ognuno la nostra parte magari partecipando alle iniziative che vengono organizzate o devolvendo il 5permille a queste associazioni”.

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