Si definisce “un umile artigiano della politica che sta a Recanati, quindi alla periferia dell’impero” e, facendo sue le considerazioni recentemente espresse anche dal sindaco di Ancona, Valeria Mancinelli, Francesco Fiordomo non lesina critiche, seppur costruttive, al suo partito, il PD che lui oggi vede “in forte difficoltà nei territori dove non ne ha azzeccata una. Pensiamo quello che è successo in provincia di Macerata: una debacle su tutta la linea negli ultimi anni con un susseguirsi di sconfitte e di Comuni che sono passati al centro destra”. Forse non gli bastano neanche le dita delle mani per contarli tutti ad iniziare da Tolentino dove, lui dice, “il PD è riuscito a perdere la città che era considerata una sorta di Stalingrado per il centro sinistra. Sono rimaste Macerata, Recanati e altre comunità importanti ma minori dal punto di vista numerico”.
Gli occhi sono puntati sul PD regionale dove non si capisce, dice, “se il segretario Comi c’è, se è ancora segretario del partito, se non lo è più”. Per Fiordomo il problema del PD è quello di non riuscire a valorizzare le esperienze territoriali. “Ci sono amministratori del PD che danno risposte, che sono apprezzati per il lavoro concreto che fanno e non per la fuffa come dice la Mancinelli, per quello che riescono a realizzare per l’abbellimento della città, il miglioramento dei servizi o per le attività nelle scuole. Ma guarda caso quei sindaci, quegli amministratori sono nel mirino di quei quattro dirigenti sgangherati che, se si candidano per dirigere il condominio dove abitano, arrivano secondi.
La critica che io faccio a Renzi è che doveva andare sino in fondo, il suo limite è stato di non rottamare nei territori dove sono rimasti alcuni capi che controllano le tessere. C’è un problema serio all’interno del partito perché sembra che gli amministratori bravi diano fastidio”.
Non è vittimismo il suo ma esprime l’amarezza di come all’interno del partito sia stata poco valorizzata la sua capacità, in 10 anni di amministrazione, di rivoltare la città e di lanciarla in un panorama internazionale. Usa il paragone con il fuoco per esprimere quello che secondo lui oggi è la situazione del partito troppo chiuso rispetto al mondo reale. “E’ come se fossimo all’interno di una casa che brucia e brucia pure tutto intorno ed è rimasto poco tempo. Noi non proviamo affatto a spegnere l’incendio, magari con una terapia d’urto, ma cerchiamo solo di sopravvivere qualche altro mese. Cioè ci sono 10 dirigenti a livello nazionale che fanno un’operazione politica non per dare risposte ai cittadini, non per migliorare le cose, non per dare una mano al mondo del lavoro e riformare in modo diverso la scuola ma solo per garantirsi i posti loro. La realtà brutta, in questo momento, di un certo modo di fare politica è questo: il galleggiamento e questo è quello che dal mio punto di vista non va bene nella gestione del Partito Democratico”.
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