Il Natale è il Natale di Gesù. Osservazione forse ovvia e scontata ma che ribadisce il significato e il senso che dovrebbe avere il Natale, che non è solo una festa di luci e di colori, di espressioni augurali, di regali e di vacanze, ma è l’invito alla rinascita interiore, ad illuminare di nuova luce la nostra vita sulla base degli insegnamenti di Gesù.
Perché, tuttavia, in questa nostra società raramente si cita Gesù? Forse la risposta è che Gesù è in qualche modo divisivo, ci distingue cioè dalle altre grandi religioni e dalle altre culture, per rispetto delle quali siamo pronti a rinunciare al nostro essere. Per la verità anche questo è un atteggiamento cristiano, nulla da eccepire dunque.
Non possiamo, tuttavia, dimenticare che Gesù ha rappresentato una vera e propria rivoluzione nella storia della umanità, riconosciuta anche dai grandi pensatori non credenti: ha posto la persona e l’amore al di sopra della legge stessa. Per questo dobbiamo riconoscere, al di là dell’essere o non essere credenti, che i valori del cristianesimo sono oggi alla base della nostra cultura europea; hanno rappresentato e rappresentano ciò che oggi noi siamo.
Gesù non ha sicuramente proposto una ideologia politica di destra o di sinistra. Egli è sopra ed oltre per tutti. Per questo penso non sia possibile dimenticare Gesù. Chi si dice cristiano in particolare deve continuare a testimoniare Cristo attraverso quei modi che il filosofo urbinate Italo Mancini chiamava “cristianesimo della presenza”, inteso come servizio libero e spregiudicato e della “mediazione” che voglio interpretare nel senso che il cristiano rispetta le culture degli altri ma non rinuncia alla propria. (Si veda Italo Mancini in “Tre follie” edizioni Camunia editore, Milano, ripubblicato nei Quaderni della regione Marche, a cura di Giancarlo Galeazzi in internet link). Chi non è cristiano può condividere l’esigenza del superamento del concetto di dialogo a favore della ricerca di ciò che ancora non è e che è possibile costruire insieme, senza rinunciare ognuno di noi alla propria storia e alle proprie tradizioni.
È necessario dunque contrapporre al dominante relativismo etico che ci fa dire “ chi sono io per giudicare” le certezze e i valori sui quali si fonda la nostra società che sono tra gli altri l’amore, la giustizia, la libertà, la non violenza, il rispetto delle donne e dei bambini, l’amore per l’ambiente che è la nostra casa, il ripudio della guerra considerata peccato sociale, l’ esistenza di una unica razza che è l’umanità.
Un'ultima considerazione che riprendo da un mio abstract di alcuni anni fa. Per tutto quello che ho sinteticamente esposto, nel formare i nostri giovani ad una coscienza critica e ai valori, nel rispetto dei loro diritti e della loro persona, vanno bene le scelte radicali di Socrate, la non violenza di Ghandi, le imprese dei personaggi della storia, vanno bene i grandi filosofi laici e le grandi e piccole religioni e Marx e tutti coloro che non la pensavano come lui, ma va bene pure Gesù. Diceva il filosofo-pedagogista Aristide Gabelli (1830-1891) che era impensabile che nelle scuole del suo tempo si dovesse insegnare chi erano Giove, Marte e Venere (la mitologia greca) ma non si dovesse insegnare chi era Cristo…
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