Come avevo preannunciato nell’ultimo articolo, riprendiamo il discorso dell’attività della balistica forense.
Andiamo a suddividere in tre “aree” di interesse l’attività della balistica, ovvero, Balistica interna, esterna e terminale.
La balistica interna va ad esaminare quello che succede all’ogiva, proiettile, prima della sua espulsione/lancio dalla canna. La pressione generata dall’esplosione all’interno della canna genera nell’ogiva una leggera espansione, questa permette alla superficie della stessa di andare a riempire i solchi della rigatura, che a loro volta, danno all’ogiva la dovuta rotazione. L’ogiva percorre tutta la canna ruotando, come se si avvitasse con i solchi della rigatura, riportando sulla sua superficie delle tracce, più o meno uniche, che identificano una determinata arma. Ulteriori
tracce vengono lasciate sul bossolo, da altri tre elementi dell’arma: l’unghia estrattrice, che imprime nel collarino o scanalatura la sua forma; l’eiettore che imprime un’intaccatura sul fondello; il percussore, o il cane in caso di revolver, che lascia una depressione sulla capsula d’innesco.
La balistica esterna va ad analizzare il comportamento del proiettile, ogiva, nonché eventuali suoi residui o frammentazioni, una volta lanciato fuori dalla canna, nonché i residui dello sparo. Viene studiata la direzione, la velocità di sparo ed eventuali variazioni o deviazioni della traiettoria originale.
La balistica terminale analizza e studia i meccanismi che hanno portato l’ogiva a cambiare la traiettoria e la sua velocità, se causati da rimbalzi o penetrazione di oggetti. Fa parte di questo studio anche la conformazione delle ferite causate dall’ogiva, la loro estensione ed il danno.
Da quanto detto sopra, compreso il precedente articolo, possiamo andare a definire quali sono le funzioni specifiche della balistica, riassumibili in cinque specifiche attività: esami balistici comparativi; verifica e classificazione delle armi; ricostruzione della scena del crimine; collaudo di protezioni balistiche passive; ricerca e classificazione dei residui dello sparo G.S.R. (Gun Shot Residue).
Andiamo ad analizzare, nello specifico queste cinque funzioni, iniziando dalla ricerca dei residui dello sparo, G.S.R. e relativa analisi.
Questa funzione riveste un importante elemento di validità probatoria per giungere all’identificazione di chi ha sparato e dove si è sparato. La materia è reduce da tipologie di accertamento ritenute insicure, mentre lo studio scientifico delle nuove tecnologie ha dato riscontri probatori, ad oggi, affidabili ed incontestabili, andando a ricercare ed individuare le particelle che si vanno a creare dopo la deflagrazione di munizioni, ovvero delle particelle composte da “antimonio, bario e piombo”, un composto chimico che in natura di fatto non esiste se non come risultanza dello sparo.
La prima tecnica di ricerca dei residui dello sparo sulle mani dei presunti autori di reato venne elaborata da Gonzales nel 1914, ideando una modalità passata alla storia con il nome di “guanto di paraffina”. La tecnica prevedeva la spalmatura di paraffina fusa, alternata a garze sterili, sulle mani dell’indiziato; la paraffina, per essere portata allo stato fuso doveva essere discretamente calda, procurando una dilatazione dei pori dell’epidermide, andando così a raccogliere le particelle combuste e non dello sparo. Una volta raffreddata la paraffina, con l’ausilio delle garze, si veniva a creare un prodotto rigido che, asportato dalle mani, veniva sottoposto ad un’indagine chimica, chiamata Difenilammina, ovvero veniva irrogato con la soluzione chimica ideata da Gonzales. Il contatto tra la soluzione chimica ed i residui dello sparo dava una reazione cromatica che si andava a colorare di blu, facendo ritenere, quindi, l’accertamento positivo. Nel tempo però detta tecnica venne messa in discussione, venne dimostrato che la soluzione di Gonzales dava esito positivo anche in presenza di nitriti e nitrati, ovvero, ad esempio, urina, fertilizzanti, carburanti ecc.
Ritenuta la tecnica poco affidabile, o comunque facilmente contestabile, si andarono a ricercare metodologie più efficaci e mirate atte ad evidenziare i residui metallici derivanti dalla deflagrazione della miscela innescante, ovvero stifnato di piombo, biossido di bario e solfuro di antimonio.
Dopo circa 50/60 anni, lo scienziato indo-statunitense Samerenda Basu, studiò ed elaborò la più attendibile descrizione della formazione dei residui inorganici dello sparo. Lo stesso individuò delle particelle che avevano tre distinte categorie morfologiche sferoidali, andando a studiarne l’origine e lo sviluppo durante la deflagrazione. In sintesi, le particelle del residuo dello sparo si vanno a formare a seguito di una reazione chimica favorita dal rapido raffreddamento prodotto dalle temperature esterne all’arma e dalle alte pressioni; la condensazione va a creare delle micro sfere, con un diametro che varia da 0,5 a 50 micron, più o meno regolari, composte dai tre elementi che ho detto sopra, piombo, antimonio e bario, ovvero elementi essenziali che, oltre ad altri, fanno parte della base chimica della polvere da sparo utilizzata nella capsula dell’innesco. Queste particelle vengono proiettate al di fuori dell’arma che ha sparato, andando ad investire tutte le superfici limitrofe.
La raccolta di queste particelle viene effettuata, generalmente, con due diverse modalità: sulle mani del presunto autore dello sparo con dei tamponi adesivi, detti “stub”; su altre superfici o indumenti con degli aspiratori dotati di diversi filtri a diametro di ritenzione variabile.
L’esame per l’individuazione e classificazione delle particelle viene eseguito con il sistema della microscopia elettronica a scansione, abbinata all’analisi per dispersione di energia, attività denominata SEM-EDX, la quale va a ricercare e fissare la struttura caratteristica delle particelle senza alterarne la struttura. Questo significa che l’esame scientifico delle particelle è “ripetibile” all’infinito senza la distruzione degli elementi raccolti. Cosa diversa è l’attività della raccolta delle particelle, con il tampone adesivo o con l’aspiratore, che una volta effettuata l’attività, di fatto, non è più ripetibile.
Molto importante sono i tempi idonei per la ricerca iniziale dei residui, gli stessi, infatti, non si fissano sulle superfici, quindi per effetto naturale della gravità o per azione meccanica volontaria, ad esempio un semplice lavaggio delle mani, le particelle si disperdono scendendo di quantità col passare del tempo; per tempo si intendono ore, e le nozioni basilari della materia partono dallo studio di J. Andrasko e A.C. Maehly – Detection of Gunshot Residues on Hands by Scanning Electron Microscopy. Dall’analisi dei due ricercatori, si può dire che la ricerca dei residui dello sparo dopo cinque ore dallo stesso, è del tutto priva di senso, gli stessi, infatti, nel loro trattato, riguardo il fattore tempo, scrivono:
" Il fattore tempo. Nei casi reali, quando una persona è sospettata di aver sparato con un'arma da fuoco è di grande importanza poter individuare i residui sulle mani anche qualche tempo dopo la deflagrazione. E' noto che la quantità di residui di sparo sulle mani nel caso di attività normale diminuisce rapidamente col passare del tempo. Questo problema naturalmente non interessa i casi di suicidio. Per determinare l'effetto del fattore tempo sull'individuazione di residui con il SEM, sono stati eseguiti cinque test sparando un colpo in ogni caso. Dopo lo sparo i soggetti hanno proseguito nelle loro normali attività quotidiane (quali scrivere a macchina, leggere, lavoro meccanico o attività di laboratorio). L'unica restrizione imposta è stato il divieto di lavarsi le mani. Il tempo intercorso tra lo sparo e il prelievo è stato di 1, 2, 2½, 3 e 5 ore. Nel corso delle successive ricerche residui di sparo vennero individuati in tutti test, eccettuato l'ultimo (5 ore)."
Ho cercato di sintetizzare questa funzione della balistica dando una nozione di base, penso sia ovvio immaginare che per trattare tutta la questione non basterebbe un manuale, un libro, ma gli spazi ristretti per un articolo, due massimo tre facciate formato A4, non permettono, certamente, di addentrarsi nei meandri più profondi degli studi. Giusto per curiosità, il materiale da me utilizzato per lo studio della materia “residui dello sparo”, solo per la “sintesi” del lavoro svolto dallo scienziato indo-statunitense Samarenda Basu, è lunga circa sei facciate forma A4, la sintesi…….. quindi qui mi fermo sulla presentazione dei residui dello sparo, con la speranza di aver dato comunque delle informazioni, curiosità sulla materia, più approfondite di quelle che generalmente sentiamo dire in trasmissioni TV o altro.
Però, permettetemelo, ancora qualche minuto ve lo devo rubare; nel precedente articolo dissi che avevo anticipato i tempi della materia “balistica” spinto dalla nuova vicenda riguardo il caso Marco Vannini, ed anche alla luce dell’azione disciplinare del Ministro di Grazia e Giustizia contro il Pubblico Ministero che ha svolto le indagini, avvenuta pochi giorni fa, non posso non integrare quanto sopra ho esposto con questo aspetto. Il Ministro contesta al Pubblico Ministero di aver svolto in maniera superficiale le indagini e di non aver sottoposto a sequestro penale l’abitazione. La cosa, secondo me è ancor più aggravata dal diniego dello stesso Pubblico Ministero di concedere al consulente di parte della famiglia Vannini, il generale Luciano Garofano, la possibilità di accedere alla casa dei Ciontoli per fare indagini sul luogo del delitto, la scena del crimine. Il notevole ritardo nel riferire cosa fosse successo all’interno di quella abitazione da parte della famiglia Ciontoli, sicuramente, ha compromesso un eventuale esame veritiero per la ricerca dei residui dello sparo sulle persone lì presenti, ma teniamo in conto alcune cose; i residui dello sparo, per gravità o per opera meccanica possono cadere dalle mani, ma di certo non si distruggono, quindi si vanno a depositare su superfici piane, come pavimenti o mobili; gli indumenti potrebbero esercitare una maggiore resistenza nel trattenimento degli stessi; sicuramente nei luoghi dove è avvenuto lo sparo i residui sono rimasti depositati, perché è ovvio, la “nuvola” dei residui dello sparo non va ad invadere solo sulle mani di chi ha sparato, non sono lì attratti come da una calamita, ma va ad interessare a 360 gradi, l’area circostante. Un’accurata ricerca dei residui dello sparo con l’utilizzo degli appositi aspiratori, sia sui luoghi che sugli indumenti delle persone lì presenti, avrebbe, potuto dare delle indicazioni più precise, sia a favore della difesa che dall’accusa, nonché della parte offesa. La procura di Civitavecchia si giustifica ritenendo le indagini svolte ineccepibili «Dagli atti risulta che circa 30 minuti dopo il decesso, ufficiali di polizia giudiziaria del nucleo operativo della compagnia dei carabinieri di Civitavecchia si sono recati presso l’abitazione della famiglia Ciontoli, dove era stato esploso il colpo di pistola che aveva colpito Marco Vannini, e hanno effettuato un capillare sopralluogo, nel corso del quale sono stati sequestrati oggetti e indumenti, nonché un bossolo esploso e due pistole». Da criminalista mi pongo diverse domande: le indagini sulla scena del crimine sono state eseguite con strumentazioni professionali adeguate ad un’accurata indagine balistica? Sono state adottate tutte quelle accortezze atte ad evitare un inquinamento dei luoghi balisticamente parlando? Sono stati eseguiti gli opportuni rilievi in maniera di indagine balistica? Gli indumenti sequestrati sono stati trattati, singolarmente, nella giusta forma per la conservazione dei residui dello sparo senza provocare l’inquinamento per traslazione o spostamento degli stessi? È stata fatta un’adeguata ricerca dei residui dello sparo sui vari locali dell’abitazione per provare a stabilire dove sia stato esploso il colpo di pistola? E’ stato fatto accesso all’abitazione, scena del crimine, indossando tutti i dispositivi di protezione personali atti a non inquinare la scena del crimine? Sono state messe le armi in sicurezza da contaminazione o alterazione per un’ulteriore indagine dattiloscopica, per la ricerca delle impronte papillari presenti sulle stesse?
Sia ben chiaro, con le suddette domande non intendo accusare nessuno di niente, non intendo giudicare l’operato di nessuno, tantomeno ritenere che le indagini siano state fatte male, sono solo domande che, in base all’eventuale risposta, potrebbero chiarire in maniera più scientifica quanto sia accaduto quella sera.
Concludo qui, questa è una piccola parte delle osservazioni che mi sento di fare sul caso Vannini, quelle strettamente inerenti alla materia della balistica, poi, con un articolo completamente dedicato approfondirò di più la vicenda.
Nel prossimo articolo riprenderò le altre funzioni della balistica ed attività ad essa correlate.
Accattoli Gabriele
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