Recanati. E’ stato un antifascista attivo nella nostra zona e per lui è sempre un’emozione ricordare il periodo della resistenza, perché gli vengono alla memoria gli amici e compagni scomparsi nel corso degli anni ma purtroppo anche quelli uccisi dagli scontri con l’esercito tedesco e soprattutto il terribile rastrellamento che il 22 marzo del ’44 mise in atto il reparto nazifascista a Montalto con il massacro di 26 giovani, fucilati senza pietà. Lui si chiama Risveglio Cappellacci, 88 anni, nome che gli dette il padre quando nacque nel 1925 e che incarna bene lo spirito di ribellione che si respirava in famiglia, contro il regime fascista. Risveglio solo per una circostanza favorevole non cadde nella rete tesa a Montalto dai nazi-fascisti, ai partigiani della banda Barilatti, operante nella zona di montagna, molti dei quali, come ricordato, vennero trucidati fra cui il giovane recanatese Bebi Patrizi. E’ lui stesso a raccontarci come andò quel giorno. “Avevo 19 anni, quando siamo partiti per andare in montagna, lasciando la casa di Montemorello dove abitavo con la mia famiglia. Il mio amico, Ivano Pecorari, è partito il giorno prima, senza sapere della morte della madre deceduta proprio il giorno dopo la sua partenza. Io lo sapevo ma non avevo il coraggio di dirglielo. Feci trascorrere una quindicina di giorni poi ne parlai con il nostro comandante Barilatti di Ancona, che ha chiamato il partigiano Pecorari riferendogli della perdita della madre e concedendogli il permesso di ritornare a casa.” Trascorsero altri 20/30 giorni prima che lui si decidesse di andare a trovare i suoi cari a Recanati. Partì la mattina del 22 marzo 1944, ma fatte poche centinai di metri, senti lo sparo del fucile della guardia partigiana, appostata ad un incrocio, che avvisava dell’arrivo di mezzi del reparto tedesco. “Allora Pecorari, racconta Cappellacci, fece ritorno di corsa alla base a Villa Montalto, per avvisarci perché avendo nevicato il colpo è rimasto attutito e né noi né i partigiani che si trovavano più in alto, a Montalto Alto, lo avevano sentito. Noi siamo riusciti a scappare mentre i partigiani che erano sopra di noi vennero assediati e poi fucilati”. Cappellacci insieme ad altri superstiti fecero ritorno a casa. Quando passarono di lì gli alleati insieme ai sodati italiani li seguirono sino a Bergamo e lì rimasero sino a guerra finita. La vita del giovane Risveglio continua poi come emigrato. Si imbarca su una nave e va a lavorare in Argentina, dove rimane per sei anni. Quindi fa ritorno a casa dove si sposa e si mette in proprio facendo l’idraulico e il meccanico, mestieri che aveva imparato in terra argentina. Cappellacci ha da raccontare anche un’ultima grande emozione che visse proprio ad aprile dell’anno scorso, quando si incontrò a tu per tu con il presidente Napolitano, giunto a Recanati per la inaugurazione del centenario della apertura al pubblico della Biblioteca leopardiana da parte del conte Monaldo. “Io stavo seduto, in mezzo alla piazzuola del sabato del Villaggio e mi sono alzato per dare la sedia a Napolitano. “Stai tranquillo!” mi ha detto. Ha voluto sapere un po’ della mia vita, intrattenendosi alcuni minuti. Ho avuto subito l’impressione di una persona rettissima, onesta, una persona di altri tempi. E’ stata una soddisfazione grande.”