Arts & Foods si presenta come una grande vetrina per ripercorrere la storia del rapporto tra arte e cibo e del soggetto come consumatore. Come scrive sul catalogo Claudio De Albertis Presidente della Fondazione Triennale Milano “la mostra aveva un obbligo: essere contemporaneamente colta e popolare; strumento di ricerca e capace di raccontare storie; visitabile dalle persone adulte e anziane senza annoiare i bambini; ricca di capolavori e di scoperte; suscitare meraviglia e obbligare alla riflessione; essere una mostra e contemporaneamente tante mostre.” Obiettivo raggiunto. La sensazione è di essere stati invitati a un pranzo di matrimonio “all’italiana”. Dall’antipasto al dolce, dal digestivo ai fuochi d’artificio, in questa esposizione non manca proprio nulla. Opere e artisti in quantità tanto da riempirti gli occhi in uno spazio che si snoda su una superficie di 9 mila metri quadrati. Si passa tra le vetrine con i dolci ingigantiti di Claes Oldenburg, l’hamburger enorme di Tom Friedman, wurstel in sacco a pelo di Dennis Oppenheim, la casa di pane di Urs Fischer, e poi moda, cinema, pubblicità, cucine, cappe, frigoriferi, frullatori, timer, posate, oggetti d’uso quotidiano, gadget da Carosello, musica, grandi installazioni, antichità, e ciò nonostante ho l’impressione di tralasciare qualcosa. Insomma una grande abbuffata che ti sazia per l’abbondanza e la qualità. Collezionisti, galleristi, direttori, curatori, critici, gran parte del sistema dell’arte, mercoledì 8 maggio, hanno salutato il curatore della mostra, uno dei più grandi del modo: Germano Celant. Un budget di 700mila euro per un’esposizione costata 6 milioni di euro. Capita però di trovare un pelo nel piatto così si continua a mangiare ma con un tantino di dispiacere. La celeberrima “Mozzarella in carrozza”, opera straordinaria di Gino De Dominicis del 1972, che potrebbe rappresentare da sola tutto l’Expo per la tautologia e l’alto valore concettuale, è sacrificata in un tunnel non ben illuminato, con la didascalia orfana del nome dell’artista aggiunto solo dopo le lamentele del proprietario dell’opera. A ben guardare anche le didascalie degli altri autori non erano delle migliori: cartellini tagliati a mano attaccati a muro con la carta gommata. Per lo chef il dettaglio non è importante. E’ da inetti rimproverare una tale bazzecola. “E’ come criticare un vestito firmato solo perché c’è un pelo. L’importante è l’opera!” Sì, è vero, ma è come se in un abito griffato l’etichetta della firma sia puntata con lo scotch. Grazie, ma con quello che costa gradirei fissarla con un punto a macchina. Un primo pelo però lo si era trovato all’ingresso del “ristorante” quando non si trovava il guardaroba. “Lo abbiamo tolto per l’occasione” ha risposto sorridente la responsabile. Un’ideona fantastica! Per chi non è di Milano e ha un bagaglio un tantino pesante si armi di coraggio e se lo porti appresso. Ma forse per l’inaugurazione al pubblico verrà ripristinato così come saranno collocate le didascalie corrette e precise. Buon appetito a tutti!
Nikla Cingolani
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