Tra il 1818 e 1819 Giacomo Leopardi si dedicò ad abbozzare alcuni testi in prosa che al momento chiamò prosette satiriche, poi diventate Operette Morali, non tutte edite tempestivamente, ma alcune, conservate tra le sue carte, molti anni dopo la sua morte.
Di queste ultime voglio riportare una parte di quella chiamata DIALOGO : GALANTUOMO e MONDO.
Il motivo che mi spinge a questa iniziativa scaturisce da un mio giudizio poco favorevole sulla nostra attualità politica che senza dubbio rispecchia la mentalità prevalente, purtroppo non cambiata con il tempo, dalla quale resta inquinata la classe politica, priva di adeguata formazione etica e che per questo motivo non riesce ad assurgere in concreto a livello di classe dirigente. Qualche eccezione non cambia il quadro complessivo perché il male sta alla radice.
Ed ecco il brano leopardiano.
“GALANTUOMO
Adesso capisco perché la massima parte, anzi, si può dire, tutti quelli che da giovani avevano seguita la virtù, ecc., entrati al servizio di V.E. ( il mondo) in poco tempo mutano registro, e diventano cime di scellerati e lane di chermisino .V.E. mi creda ch’io gli imiterò in tutto e per tutto, e quanto per l’addietro sono stato fervido nella virtù e galantuomo, tanto per l’avanti sarò caldo nel vizio.
MONDO
Se avrai filo di criterio. Io voglio che tu mi dica una cosa da galantuomo per l’ultima volta. Di che ti ha giovato o giova agli uomini la virtù?
GALANTUOMO
A non cavar un ragno da un buco. A fare che tutti vi mettano i piedi sulla pancia, e vi ridano sul viso e dietro le spalle. A essere infamato,vituperato,ingiuriato,perseguitato,schiaffeggiato,sputacchiato anche dalla feccia più schifosa, e dalla marmaglia più codarda che si possa immaginare.”
Qui finisce la citazione ma a me, tuttavia, piacerebbe pensare che un giorno le conclusioni scoraggianti di Leopardi potessero essere smentite e credo che questa fosse anche la speranza che era alla base della sua analisi impietosa, data la sua statura di moralista e di progressista.
Gianni Bonfili.
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