E se i resti di Giacomo Leopardi fossero custoditi al museo San Martino di Napoli e non a Posillipo nel parco delle Rimembranze? Ad avanzare questa affascinante ipotesi è Sergio Beccacece, presidente degli Ircer, che sul giallo della sepoltura del poeta recanatese ha fatto una sua personale ricerca. Il caso, come si ricorderà, esplose diversi anni fa, quando il giornalista Rai Silvano Vincenti propose al Ministro dei Beni Culturali, alla famiglia Leopardi e a Franco Foschi, Presidente del Cnsl, di aprire la tomba del poeta, sepolto a Napoli a Posillipo, accanto alla tomba di Virgilio, per stabilirne, una volta per tutte, grazie all’esame del Dna, la reale attribuzione di quei resti, incontrando però da parte della famiglia del poeta, una forte resistenza. Beccacece tira fuori, ora, un atto notarile del 1928 dal quale si desume che i pochi resti che rimangono delle spoglie di Giacomo sarebbero custoditi al San Martino e non nel Parco delle Rimembranze. Lui stesso ha scritto due volte al museo napoletano e un funzionario gli avrebbe confermato che nel vecchio registro si faceva riferimento, effettivamente, alle ossa del Leopardi ma che nel nuovo inventario, di questi resti, non si ha più traccia. Per comprendere l’importanza di questo atto notarile bisogna risalire, dice Beccacece, addirittura alla morte del poeta avvenuta nel 1837, “perché occorre far luce, intanto, se in quell’anno, essendo Napoli colpita dal colera, il corpo di Leopardi venne o no gettato in una fossa comune. Un destino a cui Leopardi sarebbe stato sottratto grazie alla premura dell’amico Antonio Ranieri che si impossessò delle spoglie mortali e le fece trasferire in una cripta nella Chiesa di San Vitale, a Fuorigrotta. I dubbi non sono mai stati sciolti. Sette anni dopo Ranieri, prosegue Beccacece, riuscì ad ottenere la riesumazione dei resti per essere posti nel vestibolo della Chiesa con tanto di monumento esterno.” Arriviamo, quindi, al 1900 quando le presunte spoglie vennero riesumate di nuovo, sotto la supervisione dell’allora senatore Filippo Mariotti, e il loro esame venne affidato all’antropologo Angelo Zuccarelli, un luminare dell’epoca, che non escluse che potessero appartenere a Leopardi. Zuccarelli avrebbe ottenuto anche il permesso di poter entrare in possesso di alcuni di questi resti (frammenti di stoffa e un tacco con suola), gli stessi che sarebbero poi stati acquistati nel 1928 dal tenore Beniamino Gigli per la somma di 5.000 lire. Ad attestarne la loro autenticità fu Armando Zuccarelli, figlio di Angelo, che con la morte del padre ne venne proprietario, depositando, il 2 giugno del 1928, presso il notaio Riccardo Catalano di Napoli una dichiarazione. In questa è scritto anche che i resti dopo la riesumazione vennero portati al museo S. Martino. Ora Beccacece si appella al Presidente Napolitano, oggi in visita a Recanati, perché si interessi delle spoglie di Leopardi, perché dall’alto della sua autorità è il solo capace di rilanciare gli studi e una ricerca più approfondita sul giallo della sepoltura.